A mindful body: la contraddizione del corpo

“Parlare del corpo è sempre una sfida intellettuale” sostiene Pizza (2005: 27), poiché il suo discorso attiva una serie di riflessioni che catturano il pensiero e la vita esperita dai soggetti in un intreccio composito, del quale è difficile intravederne contorni definiti. Questo avviene perché come afferma Feher (1989: 11) parlare del corpo equivale e riflettere su quell’ “area in cui il pensiero e la vita si intrecciano in un legame complesso: i processi vitali non possono alimentare figure del pensiero senza che queste si rinnovino, mentre i concetti che tentano di riflettere il vivente non possono farlo senza alterare costantemente la sua direzione”.[1] Quest’affermazione racchiude la caratteristica principale del corpo e insieme la sua più grande contraddizione: il corpo non è solo un oggetto d’indagine, di cui possiamo parlare oggettivandolo o facendocene un’idea; il corpo è al tempo stesso il soggetto conoscente il mondo. Dunque, la nostra esperienza e la nostra conoscenza sono incorporate[2]: noi siamo “corpi pensanti” (mindful body); esperienza e rappresentazione del corpo sono indissociabili. Tuttavia, proprio perché l’incorporazione della realtà e la sua concettualizzazione partono dal corpo, l’ordine sociale assume le vesti della naturalezza e della necessità, recidendo ogni legame con la cultura. Attraverso un’esposizione continua ed informale al mondo sociale esterno e grazie ad un processo pedagogico di mimesi attivato inconsciamente dal corpo pensante, la conoscenza (comprese le tecniche corporee) è incorporata, rappresentata e naturalizzata al tempo stesso.

A causa della naturalizzazione operata dal corpo, i processi politico-culturali e le relazioni di dominio e di potere che si esercitano sui corpi e attraverso i corpi vengono occultate e la concezione corporea dell’individuo e del suo posizionamento sociale acquistano il carattere della naturalezza e dell’immutabilità. Vedremo come tutto questo sia vero quando ci occuperemo dei processi sociali che modellano il genere femminile. Inoltre, all’interno di questa cornice anche la malattia assume un carattere necessitante ed inevitabile, che deve essere analizzato con un approccio critico se vogliamo evitare (come è stato dichiarato fin dall’inizio) la trasformazione del sociale nel biologico.

Tuttavia, se diventa difficile smascherare le pretese naturalizzanti dell’ordine sociale all’interno del proprio contesto storico-culturale, le cose si complicano, a mio avviso, quando ci troviamo a dover discutere del corpo degli altri e delle sue esperienze vissute. In questo caso l’analisi richiede un doppio sforzo: la presa di coscienza del carattere culturale e arbitrario delle categorie concettuali che orientano la nostra percezione di soggetti viventi, dotati di un corpo e corpi a sua volta, e dunque un allontanamento dalla loro presunta universalità e l’investimento di senso verso altre forme esperite di stare al mondo, da analizzare a sua volta come costruzioni di un preciso ordinamento sociale e non come fatti di natura. In questo compito, l’esame dei vissuti di sofferenza costituisce un campo d’osservazione privilegiata per quella mutua dipendenza di cui già si è detto tra l’idea del sé, della persona (intesa anche come entità corporea oltre che morale) e gli eventi di malattia.

In sostanza si tratta di considerare il corpo come oggetto culturalmente prodotto e allo stesso tempo come soggetto di produzione di forme culturali peculiari e di andare a vedere le condizioni entro cui si realizzano queste produzioni. Ai fini della nostra analisi questo percorso assume una valenza fondamentale perché è sul corpo e attraverso il corpo che si esercitano le relazioni di potere e di dominio che contribuiscono a marchiare i corpi delle vittime di fistola ostetrica di esperienze così forti di malessere. Queste forme di dominio e di oppressione non possono essere considerate come fatti naturali e pertanto immutabili, ma vanno ricondotti alle più vaste dimensioni politico-culturali entro le quali prende forma l’ordinamento sociale e l’incorporazione dell’esperienze dei soggetti che vi sono inseriti. Infatti, la struttura dei sentimenti individuali e collettivi, fino al senso del proprio corpo e della naturalezza della propria posizione e del proprio ruolo nell’ordine sociale è un costrutto culturale e come tale va decostruito.

Incorporare la realtà esterna e le logiche che la governano significa rappresentare il proprio mondo come l’unico modo di pensare, di comportarsi e di percepire come “naturali” quelle che in realtà sono regole culturali autoimposte. Si sviluppa quasi quella che Bourdieu ha definito una “falsa coscienza”, che fa si che il sociale sia incorporato come un fatto di natura. Nel momento in cui, però, queste imposizioni culturali naturalizzano e riproducono forme di subordinazione e di oppressione di determinati gruppi di persone, i processi sociali che le costruiscono necessitano di un’analisi critica che offra ai soggetti coinvolti una nuova base per ripensare la propria posizione in seno alla società.

           

[1] Cit. in Pizza (2005), Antropologia medica. Saperi, pratiche e politiche del corpo, Carocci editore, Roma.

[2] L’incorporazione è la condizione esistenziale dell’uomo che vive nel mondo con il proprio corpo e si abitua ad esso. Con la nozione di incorporazione si vogliono definire le modalità attraverso le quali gli esseri umani vivono l’esperienza del corpo nel mondo e ne producono la rappresentazione. Per Csordas l’incorporazione è al tempo stesso: l’esperienza di essere nel mondo data dalla percezione corporea della realtà; la rappresentazione di tale esperienza prodotta in un’oggettivazione del corpo; i modi di agire nel mondo, messi in atto nelle pratiche umane. L’incorporazione consente di comprendere la base esistenziale ed emozionale dei processi storici, delle dinamiche sociali e delle produzioni culturali, comprese le immagini del sé, della persona e dell’individuo, del malessere e del benessere (Pizza, 2005, p.42). l’incorporazione è un processo corporeo continuamente in corso e non una condizione fissa e stabile. La continua incorporazione delle forze agenti nel contesto sociale, all’interno del percorso storico vissuto dall’individuo, struttura (e a sua volta è strutturato da) l’habitus, inteso come l’insieme delle disposizioni incorporate dell’individuo.