Dualismo cartesiano e concezioni olistiche dell’individuo: due epistemologie a confronto

Parlare del corpo significa anche parlare dei suoi stati di benessere o malessere e dunque del suo continuo riposizionamento sulla scena sociale. Abbiamo visto che la cultura occidentale, nell’operare una demarcazione netta tra mente e corpo, individuo e società, contribuisce anche ad individualizzare i processi di salute e malattia. Pertanto la malattia risiede o nella disfunzione dei processi fisiologici che regolano l’organismo, o nell’alterazione degli schemi concettuali che orientano l’agire individuale, ritenuto socialmente accettabile. In entrambi i casi, la malattia è qualcosa d’individuale ed è nel soggetto che vanno ricercate le cause del suo malessere ed è su di lui che si concentrano le azioni terapeutiche. Dunque, nell’epistemologia occidentale, come fanno notare Peter Manning e Horatio Fabrega (1973), la malattia risiede nel corpo o nella mente del soggetto e le relazioni sociali sono discontinue rispetto ai fenomeni di salute e malattia.

Tuttavia, in altre culture come quella etiope, questa forma d’individualizzazione dell’essere umano e delle sue manifestazioni corporee non è presente. “Le nozioni d’individuo, persona, sé non costituiscono costanti universali come vorrebbe la tradizione filosofica occidentale, ma possono variare in ogni momento, non soltanto nei diversi contesti culturali ma anche all’interno di ciascuno di essi” (Pizza, 2005). Se è plausibile supporre che in ogni gruppo sociale “non c’è mai stato essere umano privo del senso, non soltanto del proprio corpo, ma anche della propria individualità spirituale e corporea a un tempo” (M. Mauss, 1938), separata da altri corpi individuali che condividono lo stesso senso, tuttavia nel corso dei secoli e attraverso le numerose società, non la percezione del sé, quanto piuttosto la sua concezione, la sua nozione differisce profondamente da un contesto storico all’altro. “Le parti costitutive del corpo – la mente, la materia, la psiche, l’anima, il sé – come le loro relazioni reciproche e i modi in cui il corpo è vissuto nella salute e nella malattia sono assai variabili” (M. Lock, N. Scheper-Hughes, 1990, in I. Quaranta, 2006: 154).

Anche Mauss ci suggerisce che le nostre concezioni del sé, della persona, in apparenza ovvie e naturali, sono in verità il prodotto di una lunga e varia storia sociale. Altre società hanno ontologie alternative, in cui la nozione del sé è molto diversa, ciascuna intimamente connessa alla forma di organizzazione sociale. In queste civiltà, mente-corpo, natura-cultura, individuo-società sono entità simili pensate in termini monistici piuttosto che dualistici, e dunque anche la persona non costituisce un’entità individualizzata in opposizione alle forze socio-culturali esterne. In queste epistemologie alternative alla visione occidentale, il corpo è concepito come un’entità integrata del sé e delle relazioni sociali. Quest’ultime, pertanto, offrono un contributo chiave alla salute e alla malattia individuali.

Infatti, il fatto di pensare le entità in termini monistici porta ad una visione sociocentrica dell’uomo che, a sua volta, restituisce una concezione differente della malattia e del ripristino di un “normale” stato di benessere.

  1. Lock e N. Scheper-Hughes (1990) a riguardo scrivono che:

«Nelle epistemologie non occidentali troviamo, infatti, varie rappresentazioni olistiche nel definire le relazioni fra questi concetti e principi. Due rappresentazioni del pensiero olistico sono particolarmente frequenti. La prima è una concezione di insiemi armonici in cui tutto, dal cosmo ai singoli organi del corpo umano, è inteso come unità. Ciò si esprime spesso come le relazioni del microcosmo col macrocosmo in cui troviamo una forte enfatizzazione delle relazioni delle parti col tutto. Una seconda rappresentazione di tipo olistico è quella delle dualità complementari (non oppositive) in cui i contrasti sussistono tra entità appaiate nell’intero».

Dalle interpretazioni riportate dai professionisti tradizionali della salute, è emerso che a predominare è un’ideologia locale del primo tipo, dove le varie parti assumono significato solo in relazione con il tutto. C’è dunque una complementarità di tutti i fenomeni.

Nella visione locale, la malattia racchiude molteplici eziologie, che interferiscono con due diversi ordini esplicativi: il piano naturale e il piano sovrannaturale, le cui relazioni reciproche sono inscindibili.

Influenzati dal modello ufficiale della biomedicina, guaritori e levatrici tradizionali riconoscono il parto come la causa dell’insorgenza dell’incapacità di controllare l’urina, ma le loro spiegazioni non si esauriscono all’evidenza del dato biologico e la malattia non è limitata all’alterazione della logica che governa l’individuo. Il parto precoce, l’incompletezza fisica della donna, la necessità di disporre di strumenti adeguati a fronteggiare le complicanze, emersi come alcune delle cause che portano all’insorgenza del problema in analisi, sono un di più rispetto alla causa primaria dei pericoli del parto. Essi rimandano ad un intreccio di fattori che chiamano in causa le relazioni sociali e cosmologiche e la natura corporea della donna. Ci occuperemo di questo secondo punto tra poco, quando analizzeremo la costruzione corporea femminile in qualità di concezione che struttura gli aspetti propri del gender. Per il momento, vorrei brevemente mettere in risalto la peculiare concezione di essere umano e le sue manifestazioni patologiche in seno al contesto etiope. A far ammalare la donna d’incontinenza è un’alterazione che interviene all’interno della logica che governa il suo corpo e contemporaneamente il corpo sociale e la sua cosmologia fondatrice. È una cattiva relazione con le forze maligne (come gli spiriti zar), o un attacco magico attivato da relazioni interpersonali (come il buda o l’ideseb) o, ancora, una non corretta forma di reciprocità con una figura benefica della religione del Cristianesimo etiope (come Maria) che porterebbero ad un certo tipo di incontinenza.

Da questa concezione socio-centrica dell’individuo nel contesto etiope è facile concludere che il corpo malato delle vittime di fistola ostetrica offre un modello di disarmonia , di conflitto, di disintegrazione sociale. Janzen (1981) notava come in ogni società esista una concezione utopica della salute e in alcune comunità questa si applica metaforicamente dalla società al corpo e viceversa. In questi contesti, come in quello etiope, c’è un legame profondo tra la salute o la malattia del corpo individuale e quella del corpo sociale: il corpo sano è sinonimo di una società sana, il corpo malato rimanda all’idea di una società mal funzionante.

Poiché lo squilibrio non risiede unicamente nel corpo individuale, ma affligge non meno concretamente l’intero corpo sociale e l’universo morale che lo sostanzia, la terapia deve concentrarsi sul ripristino dell’ordine morale e cosmologico alterato.

«Nelle culture e nelle società in cui manca una concezione altamente individualizzata o articolata del sé corporeo, non dovrebbe sorprendere che la malattia viene spesso spiegata con, o comunque attribuita a, cattive relazioni sociali (quindi alla stregoneria), all’infrazione del codice morale e sociale o alla disarmonia nella famiglia e nella comunità del villaggio. In società di questo tipo, anche la terapia tende ad essere collettivizzata» (M. Lock, N. Scheper-Hughes, 1990).

Non è un caso, allora, che nel riconoscimento comunitario la terapia è affidata a coloro che sono in grado di esplorare le forze sociali disgreganti e di venire a patti con esse. Dalle interviste, e come vedremo meglio quando analizzeremo il percorso terapeutico di una paziente affetta da fistola ostetrica, è emerso che la prima forma di terapia è ricercata in ambito tradizionale, tra quei terapeuti cui la società riconosce, in virtù della consuetudine, il potere di investigare la sfera sovrannaturale e di riportarvi l’ordine alterato. Il sistema d’interpretazione attivato in ambito tradizionale, poiché basato su un universo valoriale e normativo condiviso, è un linguaggio comune al paziente, al terapeuta e alla famiglia e consente di interpretare e manipolare collettivamente l’esperienza della malattia.

La terapia agisce sul piano simbolico attraverso le preghiere, l’invocazione degli spiriti maligni che hanno colpito il soggetto e con l’ausilio di amuleti (frequente è l’uso del kitab) che veicolano il potere di quei messaggi simbolici atti a guarire. In questo caso non parleremo di cura, bensì di guarigione[1] poiché la malattia non è percepita in senso organicistico, ma assume un carattere olistico. In questa prospettiva la terapia può risultare efficace perché non agisce su un insieme di cause biunivoche ancorate agli aspetti biologici dell’essere umano, ma si colloca nel rapporto fra il corpo, l’esperienza intersoggettiva e il contesto storico dentro il quale è presa l’esperienza di malessere, e punta a trasformare un intreccio di piani (naturale, sovrannaturale e sociale) che ha perso la sua connotazione armonica. In questo senso, l’efficacia simbolica delle terapie tradizionali punta a produrre una guarigione, ristabilendo lo stato di salute del soggetto nel recuperare una corretta relazione con le forze sociali e morali alterate. Essa agisce sul piano dell’immaginario, grazie alla stretta correlazione di cui si è detto tra il corpo, la concezione di persona e gli aspetti sociali e cosmologici che li sostanziano. Vedremo successivamente, come la guarigione verrà riconosciuta avvenuta anche qualora persiste il sintomo dell’incontinenza, se il guaritore cui ci si è rivolti dichiara ristabilito l’ordine alterato. Il fatto che una donna presenti ancora l’incapacità di controllare l’urina è un problema che viene localmente demandato ad un’altra istituzione: la medicina occidentale. Quest’ultima è chiamata ad agire solo sul piano fisiologico, attraverso un apparato concettuale e tecnico che non rientra nella logica terapeutica della tradizione.

Bisogna però mettere in risalto anche un altro aspetto. Se è vero che il concetto di persona (spirituale e corporea) è unita all’ordine morale e sociale della comunità di riferimento, e dunque la malattia non può essere dissociata dalla logica che governa sia le funzioni individuali che quelle cosmologiche e sociali, è pur vero che nel nostro caso la donna si ammala anche per una sua precisa costituzione corporea che è la sua potenziale base di debolezza morale e che come tale la espone ai rischi di esperire forme di malessere. Nel caso della fistola ostetrica, o meglio del sintomo dominante con cui la malattia è conosciuta, l’incontinenza urinaria, la sua insorgenza è determinata da una peculiare costruzione del corpo femminile, che rinvia anche alla posizione sociale occupata dalla donna. Ci addentriamo adesso in quel campo che ho definito “gender” e che completa l’indagine socio-culturale della fistola ostetrica. Se l’analisi del concetto di corpo, d’incorporazione e d’individuo ci ha permesso finora di scardinare la presunta naturalità e universalità delle forme di stare al mondo e di particolarizzare quelle stesse esperienze come peculiari costruzioni culturali in cui ordine morale, materialità corporea ed esperienza vissuta s’intrecciano inestricabilmente, portando a definire quando e come un corpo individuale è un corpo socialmente sano o malato, adesso questo stesso insieme di aspetti ci aiuterà a compiere un ulteriore passo analitico. Di nuovo il corpo e i suoi processi mimetici d’incorporazione sui quali interviene l’azione modellante dell’universo sociale di riferimento ci offrono lo spunto per intraprendere un discorso strettamente collegato con questi processi: la costruzione del gender (femminile) e la condizione sociale della donna in Etiopia così come si struttura a partire dall’incorporazione delle concezioni locali, delle forme di potere e delle dinamiche sociali. Se è vero come abbiamo sostenuto fin qui che la condizione esistenziale dell’uomo è l’incorporazione dell’ordinamento sociale nel quale è inserito e che in qualità di corpo pensante l’individuo concorre a definire, questo continuo feedback tra esperienza incarnata ed esperienza rappresentata, tra corpo individuale e corpo politico aiuta a strutturare un particolare insieme di tecniche corporee (che formano il corpo sociale attraverso il marchio del corpo individuale) che prende il nome di gender. Esso rappresenta l’idea di maschile e di femminile all’interno di un peculiare contesto storico-sociale e le loro specifiche forme di relazione.

L’incorporazione di questi aspetti e la sua analisi sono utili a vedere come questa inscrizione corporea non sia marginale ai fini dell’esperienza di certe forme di malessere. Esaminare le forme peculiari che compongono la locale costruzione del corpo femminile ci aiuta anche a definire lo status di una donna e le sue opportunità di vita concrete in base all’ideologia dominante, che a sua volta hanno delle ricadute nel campo della salute e della malattia. Infatti, gli aspetti relativi al gender presentano un’importanza fondamentale sui processi di malattia, non soltanto perché agiscono a livello simbolico decretando come deve essere un corpo individuale socialmente in salute o in malattia, sanzionando le sue espressioni pericolose e dunque da “addomesticare” e controllare, ma anche perché così facendo agiscono concretamente nel materializzare l’oppressione e nel regolare le donne entro un certo ordinamento sociale, che si traduce nei termini di un’esclusione “biologicamente” motivata. Quest’ultima si traduce nell’impossibilità di salvaguardare il proprio stato di benessere e nell’incapacità, quindi, di continuare a svolgere le mansioni che si ritengono di peculiare espressione della socialità della donna, portando ad un’ulteriore marginalizzazione e a nuove forme di malessere, in un’escalation di drammaticità e privazione.

[1] Con queste espressioni rimando alla distinzione riconosciuta in ambito medico-antropologico tra curing e healing. Con curing si prendono in considerazione gli aspetti legati al funzionamento organico dell’individuo; con healing (o caring) si fa riferimento ad un più ampio insieme di dimensioni che concorrono a determinare un evento di malattia e il suo ripristino.