«Ehi tu, ferenji. Quanto vuoi per portarmi in Italia?». Un militare guarda un commilitone, sputa a terra una foglia di qat (pianta con proprietà anfetaminiche consumata per ingannare fame e stanchezza) e scoppia a ridere. È ad Agarfa, un villaggio di qualche migliaia di persone nella provincia di Bale, a 450 km da Addis Abeba, in Etiopia, per presiedere allo spettacolo sui migranti organizzato dalla onlus italiana Ccm nell’ambito della campagna di informazione sui rischi delle partenze irregolari. Ferenji in amarico (la lingua ufficiale dell’Etiopia) significa straniero, e lo straniero in questo caso sono io. A pochi metri di distanza Mohammed, l’imam locale, chiede di prendere la parola. «Di quattro figli – dice trattenendo a stento le lacrime – non so più nulla. Scomparsi. Li avevo avvertiti di non andare». Intorno le donne si nascondono dietro il velo, molte piangono a dirotto. Le frasi di Mohammed qui sono come macigni.
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