Il percorso terapeutico e il sistema medico plurale: una cornice teorica e pratica per la ricerca di senso e il ripristino della salute

È a partire dalla percezione di un cambiamento del funzionamento ordinario della loro corporeità o del loro comportamento che le persone cominciano a considerarsi malate e iniziano un percorso che conduce alla ricerca di senso della malattia e delle sue cause. Parlo di cause al plurale perché ogni evento di malattia è sempre riconducibile ad una molteplicità di spiegazioni che prendono forma a partire dall’osservazione empirica del problema (in questo caso l’incontinenza di urina) per poi costruire man mano una trama fitta, ma coerente, intessuta dalle diverse motivazioni. Queste spiegazioni derivano soprattutto dalla condivisione del problema e dalla continua negoziazione dei significati e delle conoscenze di tutti gli attori sociali coinvolti nel problema (Pizza, 2005). Infatti, come ha affermato l’antropologo francese Marc Augè (1986), la malattia è il più individuale e il più sociale degli eventi, dunque esso coinvolge sia il livello personale, nei suoi aspetti fisici e psicologici, sia l’universo che ruota attorno alla persona malata e al suo disagio. L’incontro di queste dimensioni è il punto di partenza dal quale prende forma la costruzione della malattia.

Nel ripristinare il loro stato di salute, oggigiorno in Etiopia gli abitanti si indirizzano verso conoscenze miste e variegate sulla malattia e traggono benefici da un insieme plurale di pratiche. Questo conduce spesso ad una sovrapposizione di differenti orizzonti di significato e di senso che influenzano la scelta della risorsa terapeutica cui rivolgersi. Così il comportamento attivato dai soggetti sofferenti trova posto in una varietà di possibili percorsi che formano quello che ho già definito l’itinerario terapeutico”, ossia le differenti risorse terapeutiche disponibili agli attori sociali cui ci si rivolge per ripristinare una condizione di salute soddisfacente (Pizza, 2005). Ricostruire il percorso terapeutico dei malati è fondamentale perché come ci ricorda Fassin (1992) permette di restituire alla malattia la sua dimensione temporale e complessa e restituisce la pregnanza della ricerca di senso.

L’itinerario terapeutico è comprensibile solo se si prende in esame il sistema medico in cui gli attori sociali si trovano a muoversi e la sua pluralità; vale a dire “l’insieme delle rappresentazioni, dei saperi, delle pratiche e delle risorse, nonché le relazioni sociali, gli assetti organizzativi e normativi, le professionalità e le forme di trasmissione delle competenze, che in un determinato contesto storico-sociale sono finalizzate ad individuare, interpretare, prevenire e fronteggiare ciò che viene considerato come “malattia” o comunque compromissione di un normale stato di salute” (Schirripa P., Zuniga Valle C., 2000). Questa definizione è così ampia che ci consente di definire un sistema medico come qualsiasi insieme di concettualizzazioni e pratiche che si riferiscono ai problemi di salute e che permette ad un gruppo umano di pensare, far fronte e ostacolare gli eventi che il gruppo stesso considera come patologici o anormali.

Il sistema medico etiope è gestito da più istituzioni e da più professionisti, che si riallacciano a differenti tradizioni terapeutiche e che non permettono quindi di restituire teorie sistematiche e coerenti sulla malattia, la cura e la salute. Teorie, che come le conoscenze e le azioni cui si rifanno, non sono fisse nel tempo ma cambiano grazie ad una continua negoziazione e in base ai mutamenti contingenti e storici. In questo contesto le risorse disponibili agli utenti sono raggruppabili in tre categorie: le risorse biomediche, le risorse religiose e le risorse tradizionali[1]. Non mi dilungherò sulla spiegazione delle differenti fonti terapeutiche che sono state già analizzate nel terzo capitolo, quello che però vorrei sottolineare è il fatto che queste tre risorse non sono coerenti, omogenee e isolate, ma si relazionano continuamente tra di loro, ognuna cercando di legittimare la propria efficacia terapeutica. L’interazione di queste risorse e le loro strategie di legittimazione fanno apparire il sistema medico come un “campo di forze”, costantemente ridefinito dalle relazioni di potere interne ed esterne (Schirripa, 2005). All’interno di questo campo di forze il paziente si muoverà tatticamente, traendo vantaggio da una varietà di fonti terapeutiche cui ricorrerà anche simultaneamente senza seguire un’apparente coerenza logica, ma muovendosi tra le differenti offerte di cura, al fine di raggiungere lo scopo finale: il ristabilimento di uno stato considerato socialmente normale (Fassin, 1987,1992). Proprio per le logiche multiple che orientano i percorsi terapeutici e per la complessità dei contesti sociali in cui coesistono diversi sistemi medici, è difficile individuare un modello comportamentale degli itinerari terapeutici. Da quest’ultimo emergono diversi fattori di ordine economico, socio-culturale e pragmatico, correlati all’insuccesso o all’efficacia terapeutica dei sistemi medici, ed infine fattori connessi alla tipologia della malattia e alle differenti interpretazioni che quest’ultima comporta (Zùniga Valle, 2000).

Dalla storia di Abeba si capisce come la ricerca di senso della malattia e delle sue cause è strettamente intrecciata al suo percorso terapeutico. Queste due dimensioni sono profondamente connesse e si plasmano dal loro continuo scambio comportando di volta in volta un riposizionamento della giovane sulla scena terapeutica e sulle relazioni che essa intreccia. Tuttavia, il suo percorso di risanamento è anche fortemente condizionato da logiche di ordine economico e da limitazioni strutturali delle risorse terapeutiche disponibili in loco.

[1] Questa suddivisione sembra corrispondere alla già citata struttura proposta da A. Kleinman (1978) a proposito del sistema medico come sistema culturale. L’autore individuava tre arene sociali all’interno delle quali è fronteggiata ed esperita la malattia: l’arene popolare, l’arena folklorica e quella professionale.