La costruzione del genere femminile in Etiopia: un asse per l’incorporazione delle disparità e la materializzazione del malessere

Ogni evento di malattia non è semplicemente un insieme di sintomi e di segni racchiusi entro un ordine causativo, che gli permette di essere nominati e fronteggiati. Essa è una manifestazione dell’esperienza sociale (B.J.Good, 1977) che come tale ci dice qualcosa in più, che ha a che fare con il concetto di persona, di società e dell’ordine morale sul quale quest’ultima si basa. Lanternari, infatti, sosteneva che la malattia non può essere scissa da un più vasto mondo dei valori, intesi come i concetti cardine su cui poggia l’esistenza stessa della società e la comprensione di un fenomeno di malessere non può avvenire al di fuori di questo più ampio contesto. Parimenti è vero anche l’inverso: per comprendere appieno un ordinamento sociale e i suoi “prodotti” culturali bisogna servirsi di quei rilevatori esistenziali di cui la malattia ne costituisce uno dei più potenti e ricchi di riferimenti. Dunque, se l’obiettivo dichiarato nel capitolo precedente è quello di operare una risignificazione della malattia sotto analisi, restituendole il carattere culturalmente edificante che la struttura, non possiamo esimerci dall’analizzare questa più ampia struttura di valori morali che chiamano in causa direttamente l’individuo e la sua concezione. Occorre operare un’indagine paritetica dell’idea di malattia unita alla concezione di sé e di persona così come si evince all’interno di un particolare mondo morale locale. Senza un’attenzione di pari passo verso l’inscrizione corporea della malattia all’interno di una specifica concezione d’individuo, e viceversa senza vedere come l’idea che ogni società elabora intorno alla persona si ripercuote anche nel riconoscimento di uno stato patologico iscritto sui corpi, una comprensione del malessere che voglia essere spogliata del determinismo biologico e ancorata alla particolarità del contesto storico-culturale risulterà del tutto incompleta.

Dalla ricostruzione della percezione che gli attori sociali hanno della fistola ostetrica è emerso un particolare universo valoriale che chiama in causa i concetti di ordine, di purezza, di femminilità e di relazioni sociali entro cui è presa l’esperienza di malattia e che condiziona i modi in cui la fistola può essere curata. Quest’insieme di concezioni si struttura e si rende manifesto attraverso il corpo e le sue espressioni riconosciute socialmente patologiche. Come sostiene Fassin (2002), se le rappresentazioni sono fatti sociali, queste hanno una dimensione corporea e come tali sono a pieno titolo fatti sociali incorporati. La stessa considerazione vale per certe forme di malessere, che s’inscrivono nei corpi come effetto di determinate ideologie culturali e condizioni storico-sociali.

“Se una persona incorpora le relazioni sociali al cui interno essa emerge come individuo, allora la sua salute e la sua malattia sono espressione della qualità di queste stesse relazioni” (Quaranta, 2006c). E il corpo e le sue manifestazioni sintomatiche diventano il terreno privilegiato per analizzare le simbologie su cui si basano quei rapporti, la qualità delle relazioni stesse e le forme di malessere e benessere come critica o conferma dell’ordine sociale che le ha prodotte.

Il corpo in tutte le società si configura come qualcosa “buono da pensare” (Mary Douglas, 1979), cioè esso è il terreno preferenziale in cui si realizzano associazioni simboliche in ogni gruppo umano e come tale ci permette di comprendere in profondità i fatti sociali. Per questa sua qualità, il corpo, l’idea che le società elaborano su di esso, la concezione d’individuo che ne deriva ci permettono di fare un passo in avanti verso la comprensione della malattia, dal momento che la percezione dell’uno influenza quella dell’altro e viceversa, orientandone successivamente la cura e determinandone l’efficacia. Andare a vedere com’è concepito l’individuo all’interno di uno specifico contesto significa ripensare criticamente anche la soglia tra salute e malattia e la sua elaborazione culturale. Il loro intreccio porta alla formazione di quella che Turner (1986) ha definito “personalità incorporata”, la cui esplorazione è un passaggio fondamentale nella ricostruzione della malattia.

Nel nominare la fistola ostetrica, nel rintracciarne gli aspetti eziologici e nel trovare possibili percorsi terapeutici, i diversi soggetti coinvolti hanno fatto emergere una serie di metafore concernenti il corpo femminile e il ruolo che ogni donna occupa in seno alla comunità, che devono essere analizzati con cura se vogliamo comprendere appieno la natura sociale di questa malattia e il marchio che essa imprime nei corpi.

È con il corpo e nel corpo che viviamo i nostri mondi particolari ed è sul corpo e attraverso il corpo che si manifestano peculiari condizioni d’esistenza, come i fenomeni di malattia. Per questo una ricerca più approfondita di cosa si debba intendere per corpo e di come queste concezioni influenzano e, a sua volta, sono influenzate da specifici stati corporei, è fondamentale al fine di compiere una disamina esauriente della malattia oggetto della nostra analisi. Arrivati a questo punto della ricostruzione, l’obiettivo è quello di analizzare, dopo un percorso generale sul concetto del corpo, il concetto di persona e delle esperienze di malattia che la investono così come è emerso dalle ricostruzioni dei soggetti analizzati precedentemente. Queste concezioni non solo orientano la percezione della malattia, ma ne condizionano anche la terapia e la valutazione di efficacia di quest’ultima.

L’intreccio tra concezione e plasmazione del corpo femminile da un lato, ed esperienze vissute dall’altro, ci permetterà inoltre di andare ad analizzare la concezione e la condizione della donna in Etiopia. Emergerà una particolare ideologia che struttura gli aspetti relativi al genere femminile e alle relazioni (intese come insieme di diritti e doveri) che la donna etiope intrattiene in seno alla società. L’insieme di questi fattori avrà un ruolo determinante nel predisporre la donna alle diverse forme di oppressione cui è soggetta e, contemporaneamente, al rischio di contrarre una malattia tento debilitante e de-socializzante come la fistola ostetrica.

Il filo conduttore di questi livelli analitici sarà sempre il corpo, la sua contraddittoria caratteristica di essere al tempo stesso oggetto e soggetto di conoscenza, di plasmazione e di esperienza sociale, e la sua capacità di incorporare la realtà esterna (tanto simbolica, quanto materiale) rendendola ovvia e naturale, pur essendo frutto di una performance culturale.