L’early marriage: una forma regolata di gestione delle risorse e di relazioni sociali

L’early marriage non è una categoria indifferenziata. Esso presenta una suddivisione interna che corrisponde alla variazione di età in cui le donne vengono date in sposa. Secondo una ricerca condotta nel 2004 dal Women’s Affairs Office in collaborazione con il National Committee on Traditional Practices, L’Ethiopian Women Association e L’Unicef, il matrimonio precoce va diviso in: “promissory marriage”, se l’accordo è stato fatto prima della nascita della bambina; “child marriage”, se la bambina è costretta a sposarsi prima di compiere i dieci anni; “early adolescent marriage”, quando l’adolescente ha un’età compresa tra i dieci e i quattordici anni; e “late adolescent marriage”, se la ragazza ha superato i quindici anni. Dalle informazioni emerse nelle interviste si possono rintracciare diverse motivazioni che supportano e giustificano una pratica culturale ritenuta ormai dannosa dall’opinione pubblica, quale quella dell’ “early marriage”. Innanzitutto, come abbiamo visto per il caso di Abeba, c’è l’esigenza di conformarsi alla tradizione.

La famiglia del futuro sposo sceglie un intermediario che viene poi mandato a casa della famiglia della bambina per prendere accordi relativi al matrimonio. La famiglia della sposa si sente in un certo qual modo obbligata ad accettare la proposta, anche perché ne può ricavare immediatamente dei benefici materiali. In occasione della cerimonia, infatti, la famiglia riceve alcuni regali o del denaro da parte dei parenti e della famiglia del futuro coniuge. Dunque, le ragioni economiche sono sicuramente un’altra delle principali cause che spingono al matrimonio in età precoce. Tuttavia, come fa notare Carla Pasquinelli (2007), nonostante le trattative che vengono fatte tra le due parti circa la quantità e la modalità di pagamento, non si tratta di una transazione puramente commerciale. Per comprendere appieno l’essenza e le implicazioni sociali, simboliche ed economiche del matrimonio in Africa bisogna soffermarsi un attimo su quella che gli antropologi hanno chiamato “prezzo della sposa”, cioè l’insieme dei beni che la famiglia dello sposo cede alla famiglia della sposa in occasione di un matrimonio.

«Un sistema complesso di strategie matrimoniali, che prevede anche il matrimonio combinato, l’età prematura della sposa e la poligamia, a cui si accompagnano una serie di tratti secondari che variano da un’etnia all’altra come il matrimonio per ratto, l’età avanzata dello sposo, alcuni tabù alimentari durante la gravidanza e il puerperio, alcune regole di purità e alcune pratiche sessuali e altri più strettamente legati al tipo di mutilazione […]» (Pasquinelli, 2007).

In tutte le società, l’unione matrimoniale è un vincolo che viene accompagnato, seppur nelle sue diverse forme, dalle transazioni matrimoniali. Di quest’ultime è possibile individuarne, con diversi gradi di variazione, due forme che assumono una posizione dominante: la dote e, il già citato, prezzo della sposa. Se la prima forma di transazione matrimoniale caratterizza soprattutto l’area euro-asiatica, la seconda è presente in particolar modo nel continente africano. In entrambi i casi si tratta di oggetti e beni di varia natura, che vengono trasmessi dall’una e dall’altra parte. Ogni forma può essere considerata l’equivalente rovesciato dell’altra. Infatti, se nella dote il flusso di beni va dalla famiglia della sposa al nuovo nucleo familiare (quindi, in sostanza, alla propria figlia quasi a compensarne l’estromissione dal nucleo familiare e a garantirle un margine di autonomia rispetto alla situazione di assoggettamento dalla condizione maritale), per quanto riguarda, invece, il prezzo della sposa, “in questo caso i beni circolano in direzione opposta alle donne per diventare la posta in gioco dello scambio matrimoniale. In questo andirivieni di beni e di donne la cosa più importante non è però, come spesso si tende a credere, l’aspetto economico, ovvero i reciproci vantaggi o quei vantaggi che una parte acquisirebbe a spese dell’altra, poiché tali vantaggi non sono contabilizzabili in termini esclusivamente patrimoniali ed economici” (ibidem). Il “prezzo” è un compenso che la famiglia dello sposo versa a quello della sposa per ricompensarla della perdita di una donna e dei suoi servizi. Tuttavia, come già sottolineato in precedenza, non bisogna vedere questo scambio come una mera transazione commerciale. È piuttosto un dono che viene dato in cambio della fertilità della donna. Esso rappresenta, infatti, la compensazione per il trasferimento di certi diritti. Un versamento di matrimonio è il corrispettivo per qualcosa che viene trasferito dal gruppo natale al gruppo dello sposo, ma nel contesto africano non è la persona della donna che viene data bensì solo dei diritti su di lei, ovvero sul lavoro, la sessualità, la fecondità. E soprattutto sulla sua prole. Tali versamenti servono, infatti, a garantire non solo il trasferimento della sposa nella casa del marito, ma anche l’assegnazione dei suoi figli (ibidem).

Il prezzo della sposa è l’esito di lunghe contrattazioni che hanno un valore di vitale importanza per le famiglie. Esso oltre ad accrescere nell’immediato il patrimonio dei contraenti, si configura anche come patrimonio simbolico poiché permetterà ai fratelli della sposa o al padre stesso di sposarsi, acquisendo utili relazioni di parentela. Pertanto, il matrimonio non rientra nei circuiti di traffico commerciali, ma s’inserisce nella fitta rete degli scambi e delle relazioni sociali che pertengono maggiormente ad un circuito “cerimoniale”. I benefici materiali e simbolici potrebbero anche non essere immediati, ma questo non diminuisce il loro aspetto cruciale nella decisione della famiglia dal momento che, grazie al vincolo del matrimonio, si vengono a creare delle alleanze che garantiscono protezione e sicurezza nel momento del bisogno.

Il matrimonio in Africa è, dunque, un’unione definita da una serie di obblighi contrattuali tra due famiglie, all’interno delle quali le persone che detengono il potere di combinare un matrimonio sono sempre un gruppo di maschi coresidenti che rappresentano di norma tre generazioni genealogiche e precisamente gli anziani (i nonni), gli adulti (i padri) e i giovani (i fratelli della sposa). Spetta a loro di scegliere lo sposo. Raramente è una libera scelta degli sposi e nel caso lo sia, l’assenso al matrimonio dipende dal benestare dei due gruppi familiari, cui spetta pure di negoziare il prezzo della sposa. Per questo motivo, Mila Busoni (2001) sostiene che “le teorie su alleanza, matrimonio, scambio delle donne e riproduzione lasciano un impensato, una sorta di “no man’s land” in cui si nasconde una parte essenziale del controllo e del potere che gli uomini esercitano sulle donne e che consente loro di riservarsi, anche discorsivamente, ideologicamente, uno status superiore e dominante”. In questa prospettiva, il matrimonio s’inserisce a pieno titolo tra i dispositivi che creano disparità sociale, anzi è uno dei più formidabili tra essi. A questo modo di vedere le relazioni matrimoniali si può accostare la tesi avanzata da Chiara Saraceno (1993) che sia lo statuto di “moglie” che “costituisce-costruisce la differenza femminile come debolezza e dipendenza”, capovolgendo la situazione per cui è la donna che dà alla luce i figli, ma è l’uomo che prevale nella coppia. Al tempo stesso questo statuto della donna nel matrimonio cela la dipendenza dei mariti dalle mogli in quanto madri dei loro figli e dispensatrici di servizi di cura e di lavoro domestico, mutandola in indipendenza e autorità.

Accanto alla violenza insita nella gestione del matrimonio combinato che ha una forte capacità d’azione nel diminuire il potere delle donne, vorrei mettere in risalto anche un altro aspetto. Come sottolineano Goody e Tambiah (1973)[1] a proposito del prezzo della sposa, ciò che è veramente importante per gli attori impegnati nella transazione è che questo passaggio di beni sia pubblicamente trasferito allo scopo di fissare la donna come una moglie e l’uomo come un marito. “In questo senso il prezzo della sposa può essere considerato un dono o un’offerta di ringraziamento data alle persone da cui si è ricevuto un beneficio, che certifichi o meglio che testimoni che è stato fatto e accettato un beneficio”[2]. Dunque, con questo passaggio che sancisce il matrimonio non solo vengono convalidati i ruoli di moglie e marito, ma si realizza a pieno la definizione sociale di uomo e di donna con tutti i diritti e i doveri che ne conseguono. Questo aspetto viene riconfermato anche nel saggio di Cardinal Paulos Tzadua (1985), dove ancora si fa riferimento al Codice Civile Etiopico del 1960 in cui si iscriveva la moderna disciplina dell’istituto della famiglia. In esso si legge che il Codice riconosce tre forme di (celebrazione di) matrimonio, ossia: il matrimonio contratto dinnanzi ad un ufficiale di stato civile; il matrimonio contratto secondo il rito religioso dei contraenti; il matrimonio contratto secondo le consuetudini locali. Dal momento che quello che viene qualificato come “matrimonio civile” ha la sua applicazione nelle città dove esiste una municipalità organizzata con un ufficio di stato civile e dato che le città che hanno questo tipo di organizzazione sono poche, la maggioranza dei matrimoni vengono contratti secondo la forma consuetudinaria. Sebbene sia plausibile pensare che l’organizzazione municipale si sia implementata dall’anno di scrittura del saggio, è altrettanto probabile che la situazione, nelle zone più remote del paese, dove ancora persiste una forte percentuale di donne date in sposa in giovane età secondo la volontà dei propri genitori, non si discosti molto da quanto afferma l’autore. Secondo la posizione di quest’ultimo, un gran numero di matrimoni sono regolati dalle leggi consuetudinarie e dalla tradizione piuttosto che dalla legge civile o religiosa. Ecco cosa scrive Cardinal Paulos Tzadua nel definire l’essenza del matrimonio secondo la consuetudine:

«Si premette che il matrimonio in Etiopia è un avvenimento che corona le aspirazioni e i desideri dei genitori ed è nello stesso tempo un avvenimento che rende paghi i genitori per aver adempiuto un grave obbligo verso i figli. Dopo aver provveduto alla crescita dei figli, l’aspirazione dei genitori è infatti quella di dare loro una decorosa sistemazione con un matrimonio accuratamente combinato. Con questo i genitori hanno la soddisfazione di aver adempiuto il loro obbligo verso i figli ed anche una speranza in una prole che continuerà il nome della famiglia e della stirpe. Per i nubendi poi il matrimonio è il raggiungimento di un traguardo che li introduce nella vita sociale con un nuovo status che conferisce dei diritti che la società deve riconoscere esigendo a sua volta anche dei doveri. Con lo status matrimoniale infatti il giovane passa alla virilità e con ciò gode il diritto di avere una certa considerazione e una precedenza tra i suoi coetanei non sposati, di avere voce, di rappresentare la sua famiglia nelle assemblee del paese e di parlare, assumersi delle responsabilità a nome della sua famiglia, di essere eletto per mansioni e incombenze nella vita comunitaria del paese o per rappresentare il paese nei comizi interpaesani. Per la giovane il matrimonio le conferisce la sua completezza di “donna”, eleva la sua personalità e la rende degna di un rispetto e di una considerazione speciale sia nel paese che altrove».

Ancora una volta viene ribadito che il matrimonio è un contratto che riguarda non solo i due contraenti ma è un patto che intercorre fra due famiglie. Quando due famiglie vogliono cementare in modo duraturo il loro legame o la loro alleanza, essi combinano un matrimonio tra i loro figli. Vengono fatte indagini da parte delle famiglie, durante le quali i futuri sposi non sono mai interpellati. Essi verranno messi al corrente delle trattative stipulate soltanto quando le contrattazioni sono state concluse. Perciò, il matrimonio nell’ambito sociale etiopico è ben lungi dall’essere impostato su fattori emozionali quali l’amore o il sentimentalismo, ma piuttosto su fattori di razionalità sociale ed economica.

Nonostante il carattere coercitivo dell’unione matrimoniale, che sembra corrispondere esclusivamente a questioni di controllo e di riproduzione del tessuto sociale da parte di chi detiene il potere in seno alla società (gli uomini), da quanto detto finora emerge anche che il matrimonio è uno degli istituti culturali (e per chi vive nelle condizioni esperite da Abeba forse l’unico) che permette ai soggetti di acquistare i diritti e i privilegi riconosciuti ai nuovi ruoli di marito e di moglie. In un contesto di estrema miseria materiale, che costituisce lo scenario in cui vengono esperite le vite di migliaia di persone (tra cui quelle delle vittime di fistola ostetrica), in cui mancano i servizi basilari per elevare le proprie esistenze a livelli di dignità umana e poter negoziare i termini della propria vita, è giusto puntare il dito sul matrimonio come la fonte di tutti i mali per una donna?. Non intendo con questa affermazione giustificare una pratica che per certi aspetti annulla il potere decisionale delle donne e le subordina alla volontà del potere maschile. Quello che vorrei anticipare, e che verrà ripreso nel finale del capitolo, è che data l’ineguale distribuzione dell’early marriage tra la popolazione, da un punto di vista generazionale, geografico e di status economico, siamo sicuri che sia il matrimonio precoce combinato l’unica causa delle lesioni all’integrità psicofisica dell’universo femminile e della sua subordinazione ai poteri “forti”?. E che conseguenze si potranno avere nel demonizzare le pratiche culturali oltre a quella di offuscare le altre forze che riproducono le disparità di accesso alle risorse materiali? Sono domande che richiedono un’ampia trattazione che potrà essere effettuata in tutta la sua pienezza solo dopo aver preso in considerazione gli altri aspetti strutturali che hanno condizionato la vita di Abeba (e delle altre ragazze affette da fistola ostetrica), ben al di là del matrimonio che le è stato imposto.

[1] Goody J. R., Tambiah S. J. (1973), Bridewealth and Dowry, Cambridge University Press, London; trad. It. (1981), Ricchezza della sposa e dote, Franco Angeli, Milano, cit. in Pasquinelli C. (2007), Infibulazione. Il corpo violato, Meltemi Editore, Roma.

[2]Torday E. (1929), Bride-price, dower, or settlement, in Man, gennaio, pp.5-8, cit. in Pasquinelli C. (2007), Infibulazione. Il corpo violato, Meltemi Editore, Roma.