Un mosaico di popoli

La differenziazione geografica e climatica interna ha influito, fin dalle origini dei primi insediamenti umani, sull’organizzazione sociale dei vari gruppi e sulla loro specificità linguistica. Infatti, l’eterogeneità degli aspetti geografici ha reso l’Etiopia un “mosaico di popoli”, per usare l’espressione con cui lo storico italiano Conti Rossini (1928) l’ha definita, cui si accompagna un’inevitabile varietà di lingue parlate.

Secondo lo schema operato dai linguisti, è possibile raggruppare questa varietà di idiomi in due grandi famiglie: quella nilo-sahariana e quella proto-afroasiatica. Al primo gruppo appartengono le lingue parlate nelle frange occidentali, mentre della seconda famiglia fanno parte i gruppi cuscitico, omotico e semitico.

Il gruppo cuscitico è distribuito un po’ in tutto il Paese e comprende popolazioni come gli Oromo, gli Afar, i Somali ecc.; quello omotico è diffuso nella zona sud-occidentale della regione, in corrispondenza con la valle del fiume Omo. Le lingue semitiche, infine, sono presenti soprattutto nella parte settentrionale dell’Etiopia e i gruppi semitizzati, secondo Calchi Novati (1994), si suddividono a loro volta in due grandi settori stanziati rispettivamente sull’altopiano settentrionale (nomadi di lingua tigre e contadini di lingua gheez e poi tigrina) e su quello centrale (gli amhara, i gurage, gli hararini ecc.). I Tigrini e gli Amhara sono, inoltre, le popolazioni che hanno giocato un ruolo cruciale nella storia del Paese: questo significa che gli imperi che si sono succeduti sono stati sempre sotto il controllo di genti di lingua amharica e tigrina.

Infine, il carattere variegato della realtà etiope è stato accentuato dalla posizione geografica: sorgendo quasi a cavallo tra due continenti, l’area è stata per lungo tempo crocevia di scambi e contatti di tipo commerciale, culturale e politico. Calchi Novati (1994) ha individuato tre principali fonti di influenza, quella africana a ovest, quella semitica a est e quella mediterranea ed ellenistica a nord, le cui eredità sono tuttora ravvisabili a livello locale e sono parte integrante delle realtà sociali, culturali, religiose ed artistiche dell’Etiopia. Infatti, nonostante il territorio montagnoso e impervio, delimitato dal mare, dal deserto e da alcune regioni difficilmente accessibili, l’Etiopia non è mai stata completamente isolata da flussi demografici e influenze culturali esterne. Per secoli la regione è stata interessata da influssi provenienti da diverse parti. I popoli sudanesi, prenilotici e nilotici che arrivarono in Etiopia incisero sul Paese principalmente da un punto di vista linguistico ed economico-sociale, più che politico. Essi, infatti, introdussero le lingue africane e le tecniche agricole per la coltivazione di cereali come il sorgo o di piante a tubero.

Il Mar Rosso, ponte naturale tra l’Etiopia e i territori meridionali dell’Arabia Saudita, favorì contatti via mare con le popolazioni orientali dell’Asia sud-occidentale, della Palestina e della Penisola Arabica, disegnando il territorio come terra di passaggio tra due continenti, in cui i rapporti tra popoli provenienti da contesti storico-culturali diversi diedero origine a interazioni, influenze reciproche e scambi socio-culturali che continuano ancora oggi. L’emigrazione di arabi meridionali nel Corno cominciò prima dell’avvento dell’Islam. Gli habasat furono tra le prime tribù che s’insediarono sul territorio e al quale diedero il nome di Abissinia; dagli agazyan deriva invece il nome dell’antica lingua etiope, il gheez[1]. La loro influenza fu decisiva nel nord-est, in cui introdussero lingue semitiche, la scrittura, un sistema politico basato su un potere forte, la tecnica architetturale e alcune pratiche agricole come l’irrigazione.

Sempre dalla penisola arabica, inoltre, è possibile che derivino gli elementi che caratterizzano la cultura etio-sabea.

Attorno al IV secolo arrivarono probabilmente dall’Arabia meridionale gruppi di ebrei, che, con il tempo, andarono a costituire la comunità di ebrei etiopici conosciuti come beta-israel o falasca. Non esistono documentazioni certe sulle migrazione da Israele, che secondo alcuni storici non avvennero prima dell’introduzione del cristianesimo nell’impero di Axum: fino al IV secolo mancano tracce significative di monoteismo. Per secoli gli ebrei etiopici furono perfettamente intergrati con le popolazioni semitizzate di Axum, ma la separazione dagli altri gruppi fino alla loro decadenza, iniziata a metà del XVIII secolo, sarebbe stata causata da differenze ideologiche e culturali sostanziali.

Ad ogni modo, questa breve carrellata di contatti esterni e di “aggiustamenti” interni apparirà più chiara nel proseguo del capitolo, ora che mi accingo ad introdurre le tappe storiche che hanno segnato la vita politica, culturale e geografica del Paese.

[1] Il gheez è la lingua più antica tra quelle semitiche, il cui uso si è conservato soltanto nella scrittura della Chiesa ortodossa etiope ed eritrea. Dal gheez derivarono il tigré, ora parlato da alcune popolazioni della regione bassa eritrea a nord e a est, il tigrino, lingua ufficiale dello stato del Tigray e l’amharico, lingua nazionale.